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Marketing

Ho la fortuna, con Monkey, di essere coinvolto nel progetto di rilancio della manifattura italiana Design-Apart, che presto disvelerà le sue meraviglie alla città di New York (angolo 25th and 6th)

Questo video è un esempio splendido di storytelling artigiano, come e meglio dei video Made by Hand che ammiriamo tutti: bravi ozeta!

Recensione The Filter Bubble

Mi sono interessato a “The Filter Bubble” dopo aver letto l’articolo di Marco Massarotto uscito nell’agosto scorso su Chefuturo!

Sul libro  – pubblicato in Italia da Il Saggiatore con il titolo “Il Filtro” – è stato scritto molto, e leggendo la recensione di Luca De Biase ho scoperto quelle di Cory Doctorow su Boing Boing, Evgeny Morozov sul New York Times e Jacob Weinsberg su Slate.

Il libro è un’analisi di ciò che il web potrebbe rappresentare ( oforse rappresenta già) per tutti noi: non più occasione di crescita, aperta e condivisa, ma filtro, filtro pernicioso e strumento di differenziazione informativa, quindi – in ultima analisi – di discriminazione.

La tesi è che su Internet sempre più ci viene mostrato solo ciò che attiene ai nostri interessi – cosa che rendiamo nota attraverso ciò che pubblichiamo e i siti che visitiamo – e tutto questo finisce per creare una enorme distorsione nella nostra percezione della realtà.

Questo non solo da parte nostra, ma anche da parte di chi gestisce le informazioni, e le propone/vende ad altri, suggerendo implicitamente conclusioni sul nostro conto non  corrette.

Un esempio? La faccio un po’ sempliciotta, ma non credo di sbagliare di molto:

Secondo Pariser, se su Facebook sono amico di qualcuno che ha avuto problemi a rimborsare un pagamento rateale, un ente finanziario che utilizza banche dati provenienti dalla rete potrebbe ritenermi un cattivo pagatore, e rifiutarmi un credito, sulla base di queste evidenze.

Non male, no?

Eli Pariser ha vissuto tutto il web “bello”, facendo della rete lo strumento del suo attivismo civile, in qualità di fondatore del movimento americano Move On, e da  conoscitore delle dinamiche della rete vi ravvisa oggi (anzi, vi ha ravvisato nel 2011, data in cui è uscito il libro) dei pericoli piuttosto sostanziali.

Per difendersi da questa “bolla”, il sito filterbubble.com suggerisce, in un post del 2012, dieci cose che è possibile fare, mentre qui trovate alcuni suggerimenti di Vincenzo Cosenza.

Non so dire se il libro racconta uno scenario potenziale o descrive qualcosa di già reale; devo dire che, sommando la paurosa quantità di informazioni che immettiamo in rete tutti i giorni all’appetibilità di questi dati sul mercato, riesce difficile credere che il web si mantenga quell’ambiente aperto e libero come molti di noi amano credere.

Pariser racconta molto bene le sue tesi, e davvero questo libro fa riflettere, tanto più si è presenti in rete.

Tra le molte cose che mi sono piaciute, la carrellata sull’etica hacker – vera e propria matrice culturale di un preciso modo di pensare la Rete – e i tentativi di approfondire la conoscenza di quanto davvero Google potrebbe “farci male”, se volesse (fa impressione il passaggio dove Pariser fa capire, in modo nemmeno troppo velato, che forse certi aspetti sfuggono al controllo anche all’interno della stessa big G).
Da qui nasce spontanea la domanda: come essere sicuri di essere al sicuro?

Di seguito trovate anche il video della  presentazione al TED, mentre questo è il libro in una frase, come faccio sempre:

Se su Internet stai usando un servizio che non costa nulla, significa che il prodotto in vendita sei tu.

Come dicevano nel film omonimo, good night and good luck.

Mentre presento il Programma CowoPass – un sistema che permette ai coworker di passare da un Cowo all’altro in modo semplice, economico, organizzato, in tutta Italia – mi rendo conto che questo sito è il mio primo e-commerce.

Cowo è per me un enorme, continuo, esperimento che mi fa imparare un sacco di cose.

Parte delle cose che so sulla rete e sui social media, le ho imparate cercando di far conoscere Cowo.

Il libro che ho scritto è basato in buona parte sull’esperienza di comunicazione di Cowo. Idem per gli e-book della serie “Marketing Horror”.

Le persone che mi hanno aiutato con l’ecommerce, e più in generale il team che lavora con me, l’ho conosciuto grazie a Cowo.

Se tutto questo vale qualcosa, allora sappiamo che la creazione del valore può passare dal coworking.

(Ah, dimenticavo, ho anche imparato come in genere all’inizio le cose non funzionino proprio benissimo… proprio come, erano i primi tempi di Cowo Milano/Lambrate, il WiFi smise di funzionare, anche CowoPass pare avere qualche bizza… keep calm, and carry on :-)

Sono tanti i motivi per cui penso che dovremmo tutti andare a mettere un chiodo nel nuovo #divanoXmanagua di Berto Salotti – cliente della mia agenzia, lo dico subito.

Mi pare quasi un dovere, partecipare a questo progetto di “costruzione condivisa” di un prodotto, con finalità formative verso i nostri giovani, e solidali verso i giovani di una parte sfortunata del mondo… ed ecco perché.

– Perché la co-creazione è uno dei punti fermi del marketing come si fa oggi, e dei nuovi scenari di consumo (son passati sei anni da quando l’ho letto la prima volta su Marketing Reloaded)

– Perché è un modo di valorizzare il lavoro artigiano italiano, in modi lontani dalla retorica (fare, non parlare) e dagli stanchi modelli del Made in Italy

– Perché punta sul futuro: il team di lavoro sarà costituito da tutti coloro che vorranno partecipare, ma avrà una componente fissa di studenti futuri artigiani + maestri con 40 anni di esperienza

– Perché ha un’anima solidale, prevede infatti di vendere il divano all’asta e devolverne il ricavato – tramite Terre des Hommes Italia – a una scuola per falegnami in un luogo dove i giovani non lottano solo per il lavoro, ma anche per la legalità, i diritti di base e spesso la vita stessa: il Mercado Mayoreo di Managua (Nicaragua)

– Perché aiuta l’economia di un territorio che ha data tanta ricchezza e lustro all’Italia, quindi a tutti noi: la Brianza

– Perché tutto questo viene da un’azienda, ed è straordinario, a mio parere, che ci siano imprenditori capaci di innovare – insieme al proprio business – pezzi di società che in un mondo ideale dovrebbero essere di area pubblica, per quanto incidono su economia, formazione, attenzione al territorio

Questo per dire che il 31 gennaio a Meda – e in tutte le successive date – la mia presenza non sarà solo professionale. E’ la fortuna di avere un lavoro che piace, e dei clienti che lo sanno valorizzare :-)

Ora vi lascio con le parole di Paolo Ferrara, di Terre des Hommes, che vi descrive l’operazione.

Cowo è un pezzo della mia vita, da diversi anni. Domani parlerò al terzo Coworking Camp nazionale, a Milano.

L’argomento è “La dimensione economica del coworking”, tema che mi ricollega dritto dritto a quanto già detto sulla sostenibilità.

Domani proviamo a volare alto, magari ci stacchiamo da terra.

Magari scopriamo che un mondo migliore può cominciare dalla tua testa, dalle tue mani. Dal tuo ufficio.

Grazie a tutti quelli che ci saranno e a quelli che vorranno darmi il loro parere, di qualsiasi tipo, su queste slides e sull’idea Cowo in generale.

Quello che mi ha sempre affascinato della pubblicità – fin da quando ci sono entrato, nel 1986 – è il paradosso che costringe le marche a comunicare.

Semplicemente, un brand deve comunicare per essere tale, di qui la pubblicità con i suoi messaggi, toni di voce ecc.

Da questa strana condanna (del resto è stato studiato che “non si può non comunicare”) nascevano i brief più assurdi e a volte incredibilmente stimolanti.

Con la comunicazione online, in fondo, non è molto diverso. I brand ormai sanno che devono essere sui social network.

Con la differenza che senza campagna pubblicitaria lasciavi la tua nicchia in silenzio, senza presenza online la tua nicchia la prende un altro.

Mi accorgo adesso che nel novembre scorso a Ecomondo, durante la presentazione dello “smart building” Pandora, mi hanno girato questo video.

“Girato” è la parola chiave, perché ero proprio… girato dalla parte sbagliata!

Spero che i concetti espressi emergano lo stesso (l’ultima parte del video per fortuna lascia la mia schiena per inquadrare le slides). In ogni caso, la presentazione è visibile qui.

Grazie al Vega (che, lo ricordo, è anche uno spazio di coworking Cowo) per questo contributo!

Non ci posso credere. Prima il sito di un gruppo di consulenti, poi una brochure aziendale.

Lo stesso testo ripetuto in tutte le pagine (nel primo caso la biografia di un consulente era la stessa di tutti, nel secondo le origini dell’azienda in tutte le pagine, compresa quella del catering).

Di fronte a una sciatteria tale, non posso che trarre una conclusione: finto testo = gente finta.

Voi cosa pensereste di uno che, dopo avervi stretto la mano, risponde la stessa cosa a qualsiasi domanda gli facciate?

L’ho letto, l’ho riletto, poi l’ho regalato. L’ho consigliato, l’ho fatto leggere. Ne ho comprati ancora, che ho dato ai miei collaboratori. Un giorno che avevo un dubbio, ho comprato al volo la versione ebook, e poi ho messo in giro anche quello.

Ho portato con me questo libretto per quasi tutto l’anno (era il 1° marzo quando lo misi sul comodino), e ancora adesso è qui accanto al mio computer, sulla cui scrivania è peraltro ben piazzata anche la copia digitale, in pdf.

Per me, il bello del lavoro online ha molto a che fare con l’estendere la rete.

Con questo intendo dire che sono particolarmente attratto dai modi, lavori, opportunità di portare rete dove non c’è.

“Portare rete” significa anche usare strumenti nuovi, strumenti in grado di modificare i modi in ci ci si relaziona l’uno con l’altro, e Twitter – come sa bene chiunque si sia mai avvicinato a questo social network – è così diverso da risultare addirittura spiazzante.

In tutto questo, un libro come quello di Federica Dardi,  aka @elisondo è un bell’aiuto: insegna, spiega, avvicina, aiuta, accompagna, suggerisce, risponde, stimola, diverte.

Personalmente, è l’approccio che preferisco, quello più utile a chi con queste cose ci lavora (come il sottoscritto) ma anche più corretto verso chi queste cose le vorrebbe mettere nella giusta prospettiva: quelle di strumenti utili a farci qualcosa…

Insomma, alla domanda tipica di chi non riesce a “entrare” nello spirito di Twitter, ora c’è una risposta: un libretto blu edito da Apogeo e scritto da una blogger che ama i libri e ne studia presente e futuro.

Dimenticavo… la mia solita frase che riassume il libro:

Prima di giudicare frettolosamente un modo di comunicare che avvicina  qualcosa come 460.000 persone al giorno tutti i giorni, concedetevi il lusso di capirlo in un modo che non richiede nessuna fatica: un libro scritto bene.

Sono un copy, ma sono orgoglioso di aver lasciato la sceneggiatura di questi film ad altri.

Li ho lasciati ai fondatori di Berto Salotti, che li hanno scritti – senza saperlo – lavorando per 40 anni la pelle, i telai in legno massello, i bottoni dei divani.

Io ho solo suggerito che anche il marketing si può fare con le mani.

E poi abbiamo girato.

Complimenti a un’azienda artigianale che ha saputo percorrere le strade del web tra i primi in Italia, e che ha onorato la mia agenzia di un incarico che ci emoziona e coinvolge: il progetto #percheberto.

Ho sempre pensato che la comunicazione migliore sia artigianato, e non dimentico mai l’ispirazione che ci ha dato un grande maestro della comunicazione, Pasquale Barbella, citando – come riferimento per il nostro lavoro – La chiave a stella di Primo Levi e la figura del tecnico maniaco del lavoro ben fatto, Faussone, nel suo libro Confessioni di una macchina da scrivere.

Nel nostro piccolo, proviamo anche noi ad essere all’altezza di un lavoro importante quale la comunicazione.

[Regia Dario Figoli – produzione Uaz Production]

Ho iniziato in febbraio, ho finito 10 minuti fa, con un po’ di ritardo sulle ultime voci (Nerd 2.0, Neutralità della Rete, Postare e Packaging),  le 34 voci che il comitato scientifico di Treccani Editore mi ha affidato per il nuovo Dizionario di Informatica, ICT e Nuovi Media.

Chiudo quindi Dropbox e ringrazio Edoardo Fleischner,  Mauro Scaioni e Roberto Ghislandi per avermi dato un’incarico di quelli che la mamma ne va orgogliosa.

Certo che leggere la mia lista di vocaboli tutta di seguito dà l’idea di che razza di scimmia sono diventato…

  • advertising
  • age of conversation
  • barcamp
  • berners-lee tim
  • co-creation
  • coda lunga
  • corporate blogging
  • craig’s list
  • desmoblog
  • effetto virale
  • english cut
  • feed
  • flame
  • footer
  • freemium
  • gosin seth
  • liveblog
  • lulu
  • lurker
  • macleod hugh
  • mailbox
  • nerd 2.0
  • neutralità della rete
  • nielsen jakob
  • ohmynews
  • packaging
  • postare
  • punto informatico
  • reputation marketing
  • teaser
  • trip advisor
  • unique selling proposition
  • word of mouth
  • wordpress

Mad Ave's copywriter Peggy Olson

Si chiama Headliners un libro appena uscito sui migliori copywriter della pubblicità italiana. Anni fa avrei dato un braccio per esserci.

La headline – cioè il titolo del giornale, che nella pubblicità diventa il titolo dell’annuncio pubblicitario – è stata infatti per molti anni l’oggetto ossessivo delle mie giornate (e nottate) di lavoro. Divoravo gli annual, invidiavo quelle dei miei direttori creativi, sudavo mille camicie per produrne di buone.

Valeva per le headline, per i testi degli spot, soprattutto valeva per le idee di comunicazione, frutto di una magica alchimia tra parti testuali e visive di un messaggio, e quindi tra copywriter e art director.

Anni straordinariamente intensi, circa dieci, dalla metà degli ’80 in poi, di cui ricordo vivamente le lezioni dei maestri, le emozioni delle campagne finalmente in tv e sui giornali, la frenesia delle premiazioni dell’art directors club.

Poi son successe delle cose.

Ho aperto questo blog, nel 2007, riflettendo sul fatto che la gente entrava nel mio ufficio e mi parlava di marketing, non più di messaggi.
Ne ho aperto un altro che monitorava le aziende che facevano comunicazione… ascoltando (si chiamava Aziende con le Orecchie).

In Monkey Business, la mia agenzia, nasceva una nuova sensibilità.

Adesso mi sento lontano dal mondo delle headline. Adesso la pubblicità mi sembra una parodia di se stessa. Adesso, quando prendo in mano un quotidiano, vi trovo le notizie del giorno prima, che anch’io – come milioni di persone in tutto il mondo – ho visto già su Twitter o Google News.

Per questi motivi, adesso quel libro non mi interessa più tanto. Forse il libro in cui mi piacerebbe essere adesso, si dovrebbe intitolare The Hashtaggers.

Vengo a sapere che il progetto Cowo forse entrerà in un progetto, più ampio, dedicato alle città sostenibili. In effetti, il coworking è riconosciuto come “sostenibile”.

Questo della sostenibilità è un tema che mi trovo ad affrontare sempre più spesso, nei discorsi e nei pensieri.

Cosa vuol dire, alla fine, sostenibilità? Perché Cowo è sostenibile? E cosa non lo è?

Non dico queste cose col cappello dell’uomo di marketing, ma con le scarpe del cittadino consumatore.

Mi viene da usare una espressione giovanile: una cosa è sostenibile se ci sto dentro. Se ci stai dentro, è sostenibile.

Così, non è sostenibile dover pagare 3.000 euro di inps appena apri una società (prima ancora di fare la prima fattura). Oppure iniziare l’acquisto online di un volo low cost, e scoprire solo alla fine che pagare con carta di credito costa varie decine di euro (che magari raddoppiano il prezzo del biglietto pubblicizzato). O ancora, non è sostenibile sfogliare una rivista e trovarsi metà delle pagine di pubblicità. O ricevere due telefonate di telemarketing al giorno. O chiedere la trasferibilità del numero di cellulare e rimanere settimane in attesa. O chiedere un’informazione a un servizio clienti e ricevere risposte diverse a seconda dell’operatore. O andare all’agenzia delle entrate con un appuntamento e trovarsi altre 20 persone con lo stesso appuntamento. O comperare un’automobile che perde il 20% del valore il minuto che l’hai pagata.

Potrei andare avanti. A pensarci, viviamo, in condizioni di forte insostenibilità, e il marketing c’entra parecchio.

Per questo mi piace e mi intriga l’attività del coworking.

Sia l’attività in sé, sia il suo marketing.

Ieri uno studente mi ha fatto notare come la frase “prova a guadagnare qualche euro con il coworking” – presente dal 1° febbraio 2009 nella home page del sito Cowo – possa “far pensare a un business”.

In questa timida osservazione c’era un velato rimprovero, come se “business” fosse il male, e come se il concetto di “sostenibilità” non potesse avvicinarsi a quello di “profitto”.

Pareva dirmi: tu prometti un guadagno, non puoi promettere anche la sostenibilità.

Invece, secondo me, un profitto ci deve essere, perché profitto = risorse, risorse = vita del progetto.
Senza risorse i progetti muoiono, e senza progetti nuovi, ahimé, continueremo a stare nell’insostenibile insostenibilità di cui sopra.

E infatti, con Cowo, il profitto lo cerco, in modo lucido e attento, ma divertendomi a tenerlo al secondo posto, dopo le relazioni.
Ecco cos’è la sostenibilità, per me. E il marketing deve seguire questa logica, basata – indovinate un po’? – sulle persone.

Quindi: cerco di guadagnare di più seguendo una strada diversa dalla massimizzazione del profitto.

Provo ad aumentare il profitto abbassando i prezzi e aumentando i servizi, per esempio.

Perché alla base del business del coworking (ammesso che esista) non è la massimizzazione del profitto, ma la massimizzazione della sostenibilità.

Quindi: Più sostenibilità = più business = più profitto.
Detta così può sembrare semplice, ma non lo è. E’ una follia, invece, ma – ne converrete – una follia più bella di quella che si vede ogni giorno nelle news economico-finanziarie…

(Forse qualcuno penserà che sono un ricco eccentrico che gioca alle teorie del business. Invece ho ancora 12 anni di mutuo prima casa, davanti a me. Ma sono convinto che un modo diverso di portare avanti le attività imprenditoriali – finalmente lontano dall’ossessione della crescita infinita, del profitto a tutti i costi, degli investitori da remunerare – sia possibile sostenibile).

Mi vergogno un po’ a dirlo – dopo aver distribuito a destra e a manca quasi 4.000 ebook gratuiti della serie Marketing Horror – ma ora che questa buffa saga è diventata una cosa seria (= un’intera collana di 8 titoli, edita da Apogeo/Feltrinelli e in vendita a 99 centesimi cad) mi sento in dovere di pormi la questione degli ebook, e magari di ricomprarmi un iPad (il primo è caduto vittima della scarsa connessione in casa mia) o un reader…

In sintesi, le cose che mi preme scoprire sono:

  • Troverò Dostoevskij, nel caso mi venisse voglia di leggerlo in digitale? (Per dire: come sarà il catalogo dei titoli disponibili, anzi: disponibili in italiano?…)
  • Si potrà fare qualche sottolineatura, o prendere qualche appunto a margine, in qualche balordo modo digitale?
  • Che lettore è meglio acquistare? Io sono di famiglia Apple, ma non sono mai entrato in sintonia con iTunes, iPhoto, la sincronizzazione dei contatti e tante altre cose della mela…

Magari in agosto mi ci dedico.

Marketing Horror: gli ebook di Ghislandi e Carraro, ed. Apogeo

La nuova serie degli Horror ebook editi da Apogeo/Feltrinelli – cioè i 5 già presentati completamente ripensati e aggiornati, più altri 3 titoli inediti – sta per partire.

Gli ebook scritti da Roberto Ghislandi e il sottoscritto, sul tema degli errori orrori che si commettono tutti i giorni in tutti i rami del marketing, saranno tra poco disponibili per il download, al prezzo ultraeconomico di 99 centesimi l’uno (no, non divento ricco neanche stavolta).

In questi giorni, in questa pagina, verranno svelate le novità al ritmo di due al giorno, mentre su Twitter l’hashtag da tenere d’occhio è #MarketingHorror

Massimo Carraro autore degli ebook "Marketing Horror"

Eh eh, non riesco a nascondere l’orgoglio per quanto sto per scrivere.

Tre anni fa, con Roberto Ghislandi di Web Marketing Garden ci inventammo degli agili libretti digitali, impostati sugli errori più plateali commessi nel marketing.

Siccome gli errori erano grossi, li ribattezzammo orrori.

Ideare la serie del “marketing horror” fu un attimo :-)

Tre anni e quattromila copie dopo (sì, quattromila copie!) , la serie è sul punto di diventare una collana di 8 titoli tra gli ebook di Apogeo (casa editrice del gruppo Feltrinelli che tiene in grande considerazione i lettori digitali).

La proposta di Apogeo, oltre ad averci lusingato, ha anche stimolato Roberto e me verso un ripensamento completo degli ebook, con relativa integrazione di contenuti, operazione per cui non avremmo mai trovato tempo e reale motivazione.

Ora tutti gli ebook – nati, non dimentichiamolo, con la preziosa collaborazione dell’art director Laura Coppola (Monkey Business) – sono stati rivisti e rimpolpati, e il numero di pagine di ognuno è salito da 20-25 a circa una cinquantina.

L’accordo con Apogeo ci permette comunque di continuare a distribuire gli ebook gratuitamente nella versione “light”, mentre le versioni complete verranno vendute, online, a 99 centesimi.

E infine – novità nella novità – i 5 titoli già usciti saranno affiancati da 3 titoli completamente inediti:

  • Ecommerce Marketing Horror
  • AdWords Marketing Horror
  • Seo Marketing Horror

Teniamoci in contatto per il lancio vero e proprio e… preparatevi, o marketing people: sarete presto travolti da un orrore inimmaginabile! :-)

No, non ho deciso di buttarla sul patetico, mi veniva solo in mente questa cosa pensando a quante cose si possono imparare, anche da soli, ingegnandosi un po’.

E con Internet, le possibilità dell’autoformazione (si chiama così no?) si sono letteralmente moltiplicate… altro che vetrine delle librerie, leggendo in rete si può imparare praticamente tutto.

E’ questo spirito che ci ha spinto a condividere online le due giornate di formazione che svolgeremo domani e dopodomani (9 e 10 maggio) a Milano, sui temi della Multicanalità, Presenza Online, Email Marketing, Social Media, Analytics, SEO, Adwords.

Per avere due intere giornate di formazione su questo insieme di temi – piuttosto rilevanti direi – trattati con la concretezza e l’approccio diretto tipici di Web Marketing Garden, basta seguire il mio account Twitter (@maxthemonkey) da domani alle 9 fino a dopodomani alle 18.

Il corso di #buonmarketing potete seguirlo anche così, senza spendere un soldo né muovervi dal vostro computer.

Non avrete il contatto con il docente, né la possibilità di vedere le slides, e nemmeno i libri in omaggio… ma nulla di tutto questo è importante, se c’è la voglia di imparare una bella sfilza di tweet possono fare miracoli :-)

A domani!

Non io, ma Roberto.

Del resto – nel corso di Buon Marketing, di cui ho già parlato – lui svolge gli argomenti:

  1. Introduzione (dalla multicanalità al ROI alla coda lunga)
  2. Ottimizzazione del sito Internet (accessibilità, user experience, catalogo e dettaglio prodotti, carrelli abbandonati)
  3. Email Marketing (struttura campagna, privacy, strategia, conversioni)
  4. Web Analytics (cosa e come misurare, insidie, Google W.A., filtri, report, intelligence)
  5. SEO (parole chiave, contenuti, codice, link, penalizzazioni)
  6. Google AdWords (costi, risultati, punteggi di qualità, corrispondenze)

Io farò solo i social media, il 9 pomeriggio.

Comunque sia, venite, si può partecipare anche una sola delle due giornate, e i costi dono davvero bassi. C’è perfino una convenzione per dormire a Milano a un prezzo supersmart.

Se non avete voglia di andare alla pagina del buon marketing, potete scaricare qui il modulo di iscrizione, oppure la scheda di presentazione del corso, qui.

Adesso vi lascio al video, dove l’ottimo Ghislandi spiega tutto in 4’29” netti :-)

Ho provato, con Roberto Ghislandi, a fare una cosa un po’ nuova nel mondo della formazione di marketing.

Si chiama “Il Buon Marketing” ed è un corso proposto con alcune peculiarità, tra cui la condivisione online via Twitter (#buonmarketing) per coloro che non vogliono/possono trascorrere due giorni a Milano.

In realtà, il corso (molto completo, che spiega tutti gli argomenti essenziali della presenza online) lo tiene quasi tutto Roberto, io mi limito alla parte sui social media.

Mi è piaciuto studiare l’operazione nel suo complesso, cercando di fare del “buon marketing” fin dall’ideazione del corso, che viene proposto – tra l’altro – a condizioni favorevoli ad alcuni gruppi di persone (team aziendali, singoli studenti, persone senza lavoro, blogger/webmaster, coworker).

E per divertirci di più, ci siamo inventati anche lo Sconto Social, che sarebbe un altro modo di dire “più siamo e meno si paga” ;-)

Penso che il corso possa essere una risposta valida all’esigenza – che sento da più parti – di imparare a muoversi bene sul web in modo completo, secondo un piano equilibrato, che sappia gestire i social network e leggere le analytics, facendo anche dell’email marketing sensato e magari delle giuste azioni su Google Adwords.

Insomma, del buon marketing.

Le slides qui sotto raccontano il progetto, su Facebook c’è una pagina evento, mentre su buonmarketing.it c’è la presentazione completa, con modulo di iscrizione.

Confartigianato Udine mi ha invitato a parlare, sabato mattina, nell’ambito della Salone per l’orientamento allo studio e alle professioni “YOUng”.

Ora, a parte il fatto che scrittura e artigianato sono per me concetti molto vicini, quello che mi ha incuriosito (e impegnato) nel preparare la relazione è stata quel senso di impotenza rispetto alla platea.

Si tratterà infatti di giovani, prevalentemente in età di scuola superiore, ai quali dovrei parlare di social media per l’azienda artigianale.

Spero che le mie slides non li lasci indifferenti e critici, come sono spesso – giustamente – i nostri teen-ager davanti a consulenti, sedicenti esperti e grilli parlanti vari.

Insomma, se sono onesto devo ammettere che tra un amministratore delegato e un sedicenne, quello che temo (e forse rispetto) di più è il secondo. A sabato.

Mi avvicino al libro, appena uscito, di Federica Dardi con un bel pregiudizio positivo: conosco e stimo Federica da tempo.

Questo rende tutto più difficile, se pensiamo all’obiettività della mia futura recensione, ma anche più piacevole, se pensiamo alla mia vita :-)

Obiettivamente: l’autrice è su Twitter dal 2007 (@elisondo) ed ha significativa esperienza nel campo delle internet p.r. aziendali. Attualmente lavora per la sua casa editrice, Apogeo, come junior editor e coordinatrice dei presidi online dell’editore.

Ops, quasi dimenticavo: su Twitter l’hashtag è #ApoTwitter. (Non sapete cos’è un hashtag? Comprate questo libro!).

Come dicevo, sarò tra gli oltre 100 autori del nuovo Dizionario Enciclopedico Treccani Informatica, ICT e Media Digitali.

Queste le voci che mi sono state assegnate:

  • Oh my news
  • Berners-Lee Tim
  • WordPress
  • Mailbox
  • Craigslist
  • Tripadvisor
  • Flame
  • Feed
  • Neutralità della rete
  • Postare
  • Lurker
  • Barcamp
  • Nerd 2.0
  • Packaging
  • Corporate Blogging
  • Coda Lunga
  • Word of Mouth
  • Anderson Chris
  • Effetto Virale
  • The Age of Conversation
  • Co-Creation
  • Desmoblog
  • English Cut
  • Freemium
  • Godin Seth
  • Liveblog
  • Lulu
  • MacLeod Hugh
  • Nielsen Jakob
  • Passaparola
  • Advertising
  • Footer
  • Reputation Marketing
  • Teaser
  • Unique Selling Proposition
  • Punto informatico

Se qualcuno è interessato a partecipare alla stesura dell’opera, scriva subito una mail al responsabile: la ricerca degli autori non è conclusa.

Il Dizionario Treccani dell’Informatica, ICT e Media Digitali mi ha coinvolto nella compilazione di alcune sue voci.

Ho appena ricevuto l’elenco di tutti i lemmi che devono essere redatti, e solo scorrere l’elenco è una esperienza… da cui il titolo del post.

Insieme all’elenco dei lemmi, ho ricevuto una nota che mi invita a spargere la voce: si cercano autori.

Quindi, se pensate di poter scrivere delle voci di questo nuovo dizionario, fatelo sapere a me o a Roberto Ghislandi.

E adesso vado a vedere cos’è l’Apocalisse dei due Elefanti.

Ho avuto il piacere di partecipare – insieme a Edoardo Fleishner, Jolanda Restano (fattoremamma.it), Cristina Mello e Simona Benedetti (casa.it) – alla trasmissione Formato Famiglia di Tv2000, sul tema Internet senza fine?

Una volta appurato che gli indirizzi internet non finiranno (!), mi hanno chiesto “come si valorizza la presenza su internet”.

Ho risposto che le cose da fare sono tre: esserci, ascoltare, parlare.

Mi sono anche ricordato un’altra cosa che mi pare importante, e cioè che senza una buona idea non si va da nessuna parte.

Beh, mi sono divertito, con la trasferta romana, le chiacchiere con gli altri (competentissimi) ospiti e i conduttori, l’atmosfera dello studio Tv.

E poi quel sottopancia con “Copywriter e scrittore”, mentre presentavano “Un etto di marketing“… quasi quasi mi prendo sul serio!
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